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Collegato lavoro: analisi delle novità introdotte sul periodo di prova nei contratti a termine

Il Collegato Lavoro 2024 (L. 203/2024) introduce modifiche al periodo di prova nei contratti a termine, disciplinato dall’art. 7 del D.Lgs. 104/2022 (Decreto Trasparenza), in attuazione della Direttiva (UE) 2019/1152. La norma generale prevede una durata massima di 6 mesi, salvo disposizioni più favorevoli nei contratti collettivi, e stabilisce che nei contratti a termine il periodo di prova sia proporzionale alla durata del contratto e alle mansioni. Eventuali assenze (es. malattia, congedi) sospendono il decorso del periodo.

L’art. 13 del Collegato Lavoro specifica che, per contratti fino a 6 mesi, il periodo di prova è di 1 giorno ogni 15 di rapporto, con un minimo di 2 giorni e un massimo di 15 giorni. Per contratti tra 6 e 12 mesi, il limite massimo è di 30 giorni. Queste disposizioni si basano sui principi della Direttiva UE, che privilegia periodi di prova proporzionali per garantire stabilità lavorativa.

Tuttavia, emergono dubbi interpretativi. Vi sono discrepanze tra il calcolo proporzionale e i limiti massimi previsti, oltre all’assenza di regole per contratti superiori ai 12 mesi, lasciando incertezza per categorie come i dirigenti. Inoltre, la norma non chiarisce le deroghe consentite dalla contrattazione collettiva, creando ambiguità sull’applicazione di disposizioni più favorevoli.

La giurisprudenza (Cass. 8295/2000, Cass. 9789/2020) evidenzia che periodi di prova più lunghi sono ammissibili solo in casi giustificati, mentre recesso illegittimo durante la prova può comportare risarcimenti. La norma presenta lacune che potrebbero creare rischi legali, richiedendo ulteriori chiarimenti normativi o giurisprudenziali.

L’analisi approfondita è stata pubblicata su IUS Lavoro. Il contributo, riservato agli abbonati, è raggiungibile a questo link.