Durata del periodo di prova nel lavoro a termine: riflessioni sulla Circ. 6/2025 del Ministero del Lavoro

Anche il Ministero del Lavoro (come già l’Ispettorato Nazionale del Lavoro cfr. il precedente approfondimento) ha fornito le proprie indicazioni sulle novità normative introdotte dalla legge 203/2024 con la propria circolare 6/2025 del 27 marzo 2025. Per quanto le circolari ministeriali non abbiano valore interpretativo vincolante sul piano delle fonti di diritto, ma costituiscono, in linea di principio, un atto interno finalizzato ad indirizzare uniformemente l’azione degli organi amministrativi, privo di effetti esterni (Consiglio di Stato, sez. III, 26 ottobre 2016 n. 4478), le indicazioni contenute nella predetta circolare forniscono utili argomenti da tenere in considerazione quanto alle nuove disposizioni circa la durata del periodo di prova nel rapporto di lavoro a tempo determinato.
Innanzitutto, la norma trova applicazione per i contratti di lavoro a tempo determinato instaurati a far data dall’entrata in vigore della legge e, quindi, dal 12 gennaio 2025.
La nota ministeriale non chiarisce i dubbi precedentemente sorti a proposito del calcolo del periodo di durata posto che la norma prevede un limite minimo per la prova pari a 2 giorni di effettiva prestazione e dei limiti massimi, differenziati, per i rapporti a termine di durata non superiore a 6 mesi e per quelli compresi fra i 6 e i 12 mesi, pari rispettivamente a 15 e 30 giorni di lavoro effettivo.
Il Ministero precisa, invece, che i limiti massimi non possono essere derogati neppure dalla contrattazione collettiva, atteso che l’autonomia contrattuale non può – per principio generale – introdurre una disciplina peggiorativa rispetto a quella legale. Nel caso di contratti di lavoro a termine di durata superiore a 12 mesi, fatte salve le più favorevoli previsioni della contrattazione collettiva, il periodo di prova sarà calcolato moltiplicando un giorno di effettiva prestazione per ogni 15 giorni di calendario, anche oltre la durata massima di 30 giorni, stabilita per contratti a termine di durata inferiore a 12 mesi.
Interessante è il passaggio interpretativo in merito alla previsione che fa salvi diversi limiti alla durata del periodo di prova che siano previsti dalle previsioni più favorevoli. Per il Ministero tale specificazione deve essere interpretata, in applicazione del principio del favor praestatoris, in base al criterio per cui è da preferire l’interpretazione che considera più favorevole per il lavoratore una minore estensione del periodo di prova, a causa della precarietà che lo stesso comporta per il lavoratore. Si tratta di una indicazione che non sembra esaurire i dubbi applicativi che il periodo di prova, per natura e funzione, può presentare (anche su questo punto si veda il precedente approfondimento). Vi sono, infatti, professionalità e ruoli per cui una maggior durata (rispetto ai 15 o 30 giorni massimi di legge) del periodo di prova può effettivamente corrispondere all’interesse del lavoratore di aver un intervallo più lungo per verificare la convenienza del rapporto. Del resto, la norma di legge sulla durata più ridotta del periodo di prova nei contratti a tempo si collega anche «alla mansione da svolgere in relazione alla natura dell’impiego».